I 15 migliori dischi BLACK METAL del 2022

A cura di Francesco Traverso

Puntuale come un becchino al vostro funerale, ecco il listone di fine anno.

Questi dodici mesi hanno regalato un fiume di dischi da setacciare in cerca di quelli che finiremo ad ascoltare a lungo. Sono tanti i nomi grossi che hanno pubblicato un nuovo album. “We Are The Apocalypse” dei Dark Funeral mi ha annoiato a morte, mentre “The Agony & Ecstasy Of Watain” dei Watain contiene “We Remain”, un pezzo clamoroso, che li conferma come i migliori nello scrivere epiche “ballad” black metal, ma il resto del disco trascorre abbastanza innocuo; i Darkthrone, da qualche anno, si sono trasformati in una band heavy doom e di questa nuova versione continuo a preferire i dischi “Arctic Thunder” e “Old Star”.

Per il 2023 occhio invece a due nomi: i bielorussi Ciemra che con il loro singolo “Serpent’s” hanno gettato le basi per quello che potrebbe uno dei dischi dell’anno venturo e i Kanonenfieber che dopo il debutto clamoroso del 2021, sono pronti a replicare e ci hanno voluto regalare il singolo “Der Füsilier” come succulento antipasto. Sarà anche l’anno del nuovo lavoro degli Immortal, ormai ridotti al solo Demonaz, ma visto l’ottimo “Northern Chaos Gods” del 2018 è lecito essere fiduciosi.

1 . Wiegedood – There’s Always Blood At The End Of The Road (Century Media)

Con il solito titolo carico di allegria (il loro nome d’altra parte significa “morte in culla”) ad inizio anno sono tornati a colpire i Wiegedood, band per cui ho un debole dai tempi della trilogia “De Doden Hebben Het Goed”. I tre fiamminghi escono per Century Media e girano il mondo con la loro musica. A occhio e croce ce l’hanno fatta, almeno per come può farcela un musicista black metal. Ero convinto che il passaggio all’importante label tedesca avrebbe ammorbidito la loro proposta o comunque l’avrebbe resa più plasticosa e invece no. Il sound ha subito un’evoluzione, ma si è fatto ancora più oppressivo e il brano di apertura “FN SCAR 16” è lì subito a sbattercelo in faccia con un riff, un cantato ed un videoclip disturbanti e soffocanti. L’approcio emotivo post hardcore (stiamo parlando di una band “parente” degli Amenra) fa da sempre parte del pedigree della band, ma ormai i tre sono una macchina da guerra rodata e compatta che suona riff folli a velocità folli, che regala momenti di stupendo mantra black metal come “Now Will Always Be” e che semplicemente scrive pezzi clamorosi come “Until It Is Not” che rappresenta alla perfezione il black metal nel 2022.

2 . Djevel – Naa Skrider Natten Sort (Aftermath Music)

Se il black metal norvegese degli esordi è ancora oggetto di culto in tutto il mondo il motivo è anche che continuano ad uscire album come questo. I Djevel sono un terzetto con il famigerato Faust (Ex Emperor) alla batteria e suonano una musica che sembra uscita dai boschi notturni ripresi nelle loro copertine. Le lunghe composizioni, quasi mai a ritmi sparati, giocano più sulla capacità evocativa di poche note che sulla velocità e la tecnica; ne esce un disco nero e gelido come una notte norvegese di gennaio, i brani ipnotici e cerimoniali scorrono via anche se superano i dieci minuti. I Djevel camminano nel solco tracciato e ormai abbandonato da gruppi come i Darkthrone e rendono ancora contemporaneo ascoltare musica come questa. Lasciate risuonare questi lunghi accordi saturi nelle vostre notti e riposate in pace con i Djevel.

3 . Ultha – All That Has Never Been True (Vendetta Records)

Nel corso degli anni si è sempre più stretto il legame tra black metal e psichedelia grazie a band come Oranssi Pazuzu e Blut Aus Nord. Per me, un connubio azzeccatissimo, per altri una bestemmia contro Satana. Gli Ultha se ne fregano e continuano con la loro formula post black metal che suonerebbe perfetta sul palco del Roadburn tra sfuriate in blast beat e atmosfere sospese; la pasta complessiva del suono si è ulteriormente scurita e questo, insieme ad una scrittura ispirata, rende “All That Has Never Been True” la prova migliore dei tedeschi; a differenza delle band sopracitate, la psichedelia degli Ultha è meno lisergica e più onirica, ipnotica in un connubio ideale tra la catarsi dei Wolves In The Throne Room e l’emotività dilatata dei Sigur Ros. Lasciatevi abbracciare dall’onda oscura creata da questa band e non ne potrete più fare a meno.

4 . Moonlight Sorcery – Piercing Through The Frozen Eternity/Nightwind: The Conqueror From The Stars (Avantgarde)

Dalle mie classifiche di fine anno sono normalmente banditi gli Ep per una decisione totalmente arbitraria e assolutamente discutibile, ma ho deciso di fare un’eccezione. O meglio, visto che i Moonlight Sorcery di Ep ne hanno pubblicati due a distanza di pochi mesi, li considero un tutt’uno e finiscono dritti in questa lista. Come fossero il lato A e il lato B di un unico lavoro, ma anche questa è una mia personalissima considerazione.

Quello che conta è la musica che questo trio finlandese ci propone e che ci permette un tuffo nei gloriosi anni 90. Black metal battagliero, notturno e glaciale è quello che troverete nei solchi di questi Ep con uno spiccato gusto per le melodie epiche e per le cavalcate; la produzione del disco ci riporta indietro nel tempo, le tastiere ricamano i brani e li sorreggono con il classico tappetone, i piatti rieccheggiano come colpi di spada e le chitarre si lanciano in assoli da heavy metal anni 80.

Immaginate un disco black metal suonato con il piglio dei Manowar e non sarete troppo distanti dal risultato finale. Dissection, Children Of Bodom, Emperor sono i riferimenti e sfido chiunque a togliersi dalla testa alcune delle melodie suonate dal trio, come quelle di “From Thy Light Is Ice” e “Ice-Veiled Spell”; i Moonlight Sorcery sembreranno un po’ ingenui o datati ma i due Ep sono carichi di un’atmosfera impagabile per chi è innamorato di questa musica da tanti anni.

I due lavori sono già stati pubblicati digitalmente dalla band, mentre dei vari formati fisici si è occupata Avantgarde che ha dato alle stampe “Piercing Through The Frozen Eternity” nel corso di questo anno e che pubblicherà “Nightwind: The Conqueror From The Stars” il prossimo 13 gennaio.

5 . Misþyrming – Með Hamri (Noevdia)

Appena in tempo per le classifiche di fine anno è arrivato il terzo disco dei Misþyrming che serve a confermarli tra le band emergenti più interessanti; dopo il caotico esordio, il passaggio su Noevdia era iniziato con un disco più “riflessivo” e di atmosfera rispetto a quanto atteso. Fortunatamente, i diavoli islandesi con “Með Hamri” sono tornati a pestare forte, anzi fortissimo. Il brano in apertura ha un riff che non sfigurerebbe in un disco dei Marduk, così come “Engin Miskunn”, ma sono i mid tempo “Með Harmi” e “Engin Vorkunn”, carichi di pathos e tiro ad alzare il livello complessivo dell’opera, grazie anche ad un uso dei synth che rimanda alle gelide e oscure atmosfere dei dischi di Burzum. Non resta che incrociare la loro furia su qualche palco in giro per l’Europa.

6 . Gaerea – Mirage (Season Of Mist)

Ho sempre un po’ snobbato i Gaerea; un po’ perchè mi sembrava l’ennesima band incappucciata, ma poi ho realizzato che il volto coperto altro non è che il face painting dei tempi moderni per cui va bene così; inoltre, il Portogallo non è paese che abbia mai regalato chissà quali gruppi al metallo nero; invece, singolo dopo singolo, video dopo video sono entrato nel loro mondo e ho cominciato ad amarlo. Fieri di una produzione potente e cristallina, i portoghesi sono crescitui nel loro songwriting dissonante e sfiancante e hanno creato un’opera in cui troverete un post black metal furioso e, a suo modo, melodico allo stesso tempo. Un saliscendi continuo tra schiaffoni in faccia dell’ascoltatore (sentite l’incredibile esplosione dell’iniziale “Memoir”) e momenti di calma apparente che servono solo a fare aumentare la tensione di fondo. Le chitarre creano un intreccio magnetico che si appoggia su una sezione ritmica brutale per potenza e velocità e la voce di Ruben Freitas ci fustiga con le sue parole di misantropia e autodistruzione. Alla fine, vorrei dirvi a chi assomigliano, chi sono i riferimenti musicali ma la verità è che i Gaerea hanno plasmato un loro suono, un timbro che li rende riconoscibili tra mille. Certo si tratta di black metal con suoni, arrangiamenti e scrittura moderni, questo sia chiaro, insomma siamo più vicini ai White Ward che agli Immortal.

7 . Blut Aus Nord – Disharmonium – Undreamable Abysses (Debemur Morti)

Ormai i Blut Aus Nord fanno gara a sè e si può dire siano usciti dal black metal, almeno per come lo concepiscono i comuni mortali. CI sono pochi gruppi in grado di creare un vero e proprio universo sonoro in cui black metal e psichedelia si fondono in un’ibrida creatura acida, un trip andato veramente, ma veramente male, una caduta verso un abisso che il nostro cervello non osa proporci nemmeno nei peggiori incubi. L’ascolto diventa esperienza trascendentale e onestamente diventa anche difficile commentare un’opera del genere. Però è un lavoro che tocca le corde le profonde, che smuove qualcosa, non è noioso anche se di ostico approccio. E’ come osservare un fenomeno paranormale o una creatura extraterrestre, non sappiamo cosa guardiamo, ma ne siamo affascinati e non possiamo fare altro che esserne in balia. Altro che metaverso, basta un disco dei francesi.

8 . Deathspell Omega – The Long Defeat (Noevdia)

Ti metti le mani nei capelli e chiedi l’elettroschock dopo aver ascoltato il nuovo Blut Aus Nord, ma ecco che arriva l’ennesimo capitolo imperdibile della discografia dei Deathspell Omega a spingere ulteriormente in avanti il concetto di black metal. Sembra che le due band francesi si siano coalizzate per ridicolizzare il restante underground musicale che li circonda.

Una montagna di granito nera che sembra provenire da un altro pianeta è quello che troverete in copertina, ma direi che rende l’idea anche di quello che andrete ad ascoltare: musica nera e dura, inscalfibile nella sua malvagità, proveniente da un posto, per fortuna, sconosciuto, da uno spazio buio e desolato.

A questo giro le composizioni dei Deathspell Omega sono leggermente più accessibili, ma non per questo meno affascinanti. Un pastone velenoso in cui si affrontano ritmiche spezzate, blast beat, un basso pulsante e tentacolare, riff dissonanti, noise chitarristico, post hardcore, industrial, versi austeri carichi di odio e misantropia. Ospiti vocali del disco Mortuus (Marduk, Funeral Mist), M. (Mgla, Kriegsmaschine) e Spica (S.V.E.S.T.).

9 . Heltekvad – Morgenrødens Helvedesherre (Eisenwald)

Ho un debole per il black metal medievale, per quei suoni grezzi, le melodie veloci, il tiro sguaiato. Dai tempi del debutto dei Satyricon è stato chiaro che uno dei periodi culturalmente più bui della storia dell’umanità sia perfetto come tema per una band black metal. Negli ultimi anni ci hanno pensato gli Ungfell, non a caso sempre su Eisenwald, a farsi alfieri di un certo modo di suonare e nel loro solco troviamo oggi gli Heltekvad che sparano 35 minuti al fulmicotone. Nella band troviamo Ole Pedersen Luk che abbiamo già ospitato su queste pagine con gli Afsky; si riconosce il timbro acido della sua chitarra e si riconosce il suo modo teatrale di cantare, in questo contesto ancora più spiccato. “Morgenrødens Helvedesherre” è un disco caciarone nei suoni e nell’attitudine ed è impossibile non trovarsi a scapocciare sulle note di “Ærbødig er den som sejrer” o “Ved sværdets klinge skal du forgå”.

10 . White Ward – False Light (Debemur Morti)

Siamo al decimo disco di questa lista di fine anno e siamo al decimo di disco che suona diverso da tutti gli altri, dieci modi di interpretare il black metal accentuandone vari aspetti e inserendo diversi ingredienti. Non so quali altri generi abbiano questa varietà.

Gli ucraini sono stati tra i più grandi innovatori degli ultimi anni, sia per l’immaginario scelto, sia per la scelta stilistica di contaminare la propria muscia con un massiccio uso del sassofono, vero e proprio marchio di fabbrica del loro sound e, più in generale, di adornare la loro musica con una raffinatezza normalmente estranea al genere. Black metal da jazz bar, da ascoltare sorseggiando un Martini.

Magari, i puristi storceranno il naso, ma le composizioni dei White Ward hanno un’anima e fanno breccia. Che siano i tredici minuti del lungo viaggio di “Leviathan” tra il post metal degli Isis e il black metal dei Der Weg Einer Freiheit o la lunga intro di “Phoenix” che sfocia nel riff più bello del disco, fioccano comunque le emozioni.

11 . Precieux Sang – Les Nuits De Gethsémani (Eisenwald)

Scorrere le uscite Eisenwald è andare sul sicuro, qualcosa di bello lo troverete sicuramente. Di questo progetto non si sa nulla; non esistono pagine social e non esistono musicisti accreditati. Sappiamo solo che Precieux Sang viene dal Canada, terra fertile oltre le attese in quanto a ottime band (cercate di Spectral Wound, Sorcier Des Glaces e Forteresse) e, dovessi scommettere un euro, direi che si tratta di una one man band.

Nei tre lunghi brani (per un totale di poco più di trenta minuti) è scolpito un black metal scarno, tamburaggiante e ammaliante; i riff ripetuti ossessivamente, le ritmiche selvagge e basilari, la voce lamentosa nelle retrovie danno quel sapore doom che da sempre accompagna il metallo nero dai suoi esordi. Se avete amato i primi Satyricon o l’ultimo disco dei Turia “Les Nuits De Gethsémani” è stato scritto per voi.

12 . Blackbraid – Blackbraid I (Indipendente)

L’esordio più chiacchierato dell’anno è stato senza dubbio quello di Blackbraid, one man project di Sgah’gahsowáh, musicista nativo americano che ha le sue radici tra i monti Adirondack negli Stati Uniti. Non so come sia stato possibile, ma questo esordio indipendente è finito praticamente su tutte le testate specializzate, soprattutto quelle americane. Vedremo se si tratterà di hype eccessivo o di un fuoco di paglia, ma certo è che l’unione spirituale e profonda tra la natura e i nativi americani, unita alla loro vita distrutta dall’invasore europeo, offrono spunti perfetti per il black metal evocativo e purificatorio di pezzi come “The River Of Time Flows Through Me” e “Barefoot Ghost Dance On Blood Soaked Soil” , dove si incrociano Uada e Mgla. Ascoltando questi brani sembrerà di essere lì, dispersi tra le montagne con l’odore di terra bagnata nelle narici.

13 . Nordjevel – Gnavhòl (Indie Recordings)

Il premio “mazzata sulle gengive” dell’anno va ai Nordjevel. “Gnavhòl” pullula di influenze death metal, sia nel lavoro delle chitarre che nel drumming di Dominator, già noto per aver messo a disposizione la propria potenza devastatrice nei Dark Funeral. Davanti alla furia omicida dei quattro ci si inchina e ci si lascia maltrattare volentieri. Marduk, i già citati Dark Funeral, 1349 sono alcuni dei gruppi che siedono allo stesso tavolo dei Nordjevel. Per quasi sessanta minuti, la band di Iskem non vi mollerà un attimo, trapanandovi con le sfuriate di “Of Rats And Men” e “Satan’s Manifest” dove ci sono alcune rullate che superano la velocità del suono e dove i riff si abbattono come frustate su noi poveri fruitori, ma il canovaccio resta uguale e di alto livello per tutto l’album.

In Scandinavia, in mezzo ai boschi, deve esserci una fabbrica di musicisti (soprattutto batteristi) che suonano black metal come missione di vita e lo fanno con la maggior perizia tecnica e la maggior aggressività possibile, da laggiù arrivano i Nordjevel.

 

14 . Ultra Silvam – The Sanctity Of Death (Shadow Records)

Questi tre ragazzotti proseguono la lunga tradizione del black metal svedese a base di sangue, blasfemia, velocità, atteggiamento punk e tutto quello che potete trovare nei dischi di band come Watain, Nifelheim e compagnia malvagia. Le rullate di batteria hanno quel suono di valanga disordinata tanto cara ai vecchi ascoltatori come me, la voce è un urlo sguaiato e il suono delle chitarre ha il timbro tagliente, marchio di fabbrica del metallo nero dei crociati (rovesciati) gialloblu.

“The Sanctity Of Death” è il classico lavoro in cui contano più piglio generale e attitudine che la singola nota, così vi ritroverete in balia di riff sguinzagliati a gran velocità, tupa tupa a cannone e assoli pazzi. Non manca nulla.

15 . Hate Forest – Innermost (Osmose Productions)

Nel preparare il listone di fine anno, ci sono alcuni dischi che hanno il posto assicurato poi ci sono tre, quattro posizioni che rimangono incerte sino all’ultimo. A volte prevale la voglia di dare spazio ad una nuova band, a volte semplicemente ci si imbatte in un disco bello solo negli ultimi giorni dell’anno. Gli Hate Forest vengono dall’Ucraina e dopo lunga pausa, sono tornati operativi nel 2019; a differenza dei connazionali White Ward non hanno interesse a contaminare il loro black metal in nessun modo, vogliono solo spararcelo in faccia il più duramente e gelidamente possiible. Accompagnati da un vocione death metal, macinano violenza per 35 minuti, ma il bello è che insieme al caos ci sono dei bei riff che emergono fieri dal muro sonoro che viene alzato. Siamo in un punto immaginario tra Mgla e Burzum suonato al doppio della velocità. Perfetto per l’inverno appena cominciato.

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