Korn: I Dischi Da Avere
Come è nato il nu metal? Quali sono le band più significative del genere? Ce ne sono molte, qualcuna è sopravvissuta sino ai nostri giorni e qualcuna spunta fuori anche oggi, a quasi trent’anni dall’esplosione commerciale di band come Korn, Limp Bizkit e Deftones. Tra gli inventori e mostri sacri del genere ci sono senza dubbio i Korn e se non sai come districarti nella loro discografia, questo articolo è qui per darti una mano.
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Introduzione
I Korn si formano all’inizio degli anni 90 a Bakersfield, California, e sono un pò la naturale conseguenza del crossover e dell’alternative metal che impazzavano già da qualche anno grazie a band come Rage Against Machine e Faith No More. Evaporata velocemente la fiamma del grunge, è nella commistione di generi diversi che il rock si rigenera: chitarroni iperdistorti con accordature ribassate si mischiano a ritmiche funky, parti vocali rappate e basso slappato.
Dopo qualche anno di assestamento, nel 1994, con l’arrivo Jonathan Davis alla voce la formazione dei Korn può dirsi al completo e vede Brian “Head” Welch e James “Munky” Shaffer alle chitarre, David Silveira alla batteria oltre a Reginal “Fieldy” Arvizu al basso.
I cinque, guidati dal produttore guru per il genere Ross Robinson, hanno avuto il grande merito di creare un suono personale e di proporre un’immagine altrettanto caratteristica, a partire dal logo semplice ed efficace, passando per un look da tamarri di strada con pantaloni a vita bassa, tute acetate e dreadlocks. La voce di Davis spicca per la sua capacità di variare da registri calmi ed emozionali ad urla furibonde e selvagge, il tutto sempre condito da una generale atmosfera di follia e disagio. La sezione ritmica rende il suond generale incalzante e dinamico grazie ad un componente funky e le chitarre ricamano il tutto con riff a volte stralunati e minimali, a volte ruggenti e carichi di groove.
I dischi da avere
La discografia dei Korn vanta ben 14 dischi in studio, due album dal vivo e tre raccolte per cui non è semplice orientarsi.
I primi quattro lavori rientrano nella categoria “dischi da avere”. L’omonimo debutto del 1994 si apre con il brano più famoso della band, ovvero “Blind” con cui si sono presentati al mondo e che è presenza fissa ai concerti ancora oggi. Tutta la prima parte della discografia si basa sull’infanzia abusata di Davis e sulle sue difficoltà da adolescente bullizzato; la prima ci viene dolorosamente raccontata in “Daddy” con il cantante calato nella parte sino al pianto, mentre le seconde emergono nei testi di “Faget” e “Clown“.
Una delle curiosità riguardanti i Korn è che in ogni loro album troverai una parte suonata da Davis con la sua cornamusa, il cui debutto avverrà nella leggendaria intro di “Shoot And Ladders“.
Nel 1996 è la volta di “Life Is Peachy“; i Korn non sono ancora un enorme fenomeno di massa, la produzione, sempre curata da Ross Robinson, è molto diretta e perfetta nel dare risalto all’impatto live dei cinque. Il cantato di Davis si fa ancora più pazzo (“Twist“) ed emotivo fino alle lacrime di “Kill You“, mentre “A.D.I.D.A.S.” gioca tra doppi sensi a sfondo sessuale e il marchio sportivo ormai brand ufficiale del gruppo. Una bomba, forse il loro miglior album.
Passano altri due anni e arriva il grande successo commerciale con “Follow The Leader“; i passaggi radiofonici e televisivi di “Got The Life” e “Freak On Leash” proiettano i cinque di Bakersfield nell’olimpo delle rock star. Ci sono ancora riff memorabili come in “It’s On“, “Justin” e “Dead Bodies Everywhere“, ma la produzione un po’ più patinata inizia ad ammiccare alle grandi masse. I leader mondiali del nu metal sono loro e non fanno nulla per nasconderlo.
Il quarto album dei Korn arriva nel 1999 e segna il confine tra la discografia indispensabile e quella più “convenzionale”. “Issues” abbonda di singoli radiofonici, su tutte “Make Me Bad” con uno spettacolare riff in apertura, poi “Somebody Someone” e “Falling Away From Me“, ma la sua bellezza sta nei momenti più calmi dove emerge l’amore di Davis per la new wave degli anni 80, specialmente per i Depeche Mode; “Dead” e “4 U” sono due gemme minimali che rappresentano al meglio i Korn del quarto album. I suoni del disco sono tra i migliori mai avuti dalla band e sono curati da Brendan O’Brien.
Altri dischi consigliati
Il resto della discografia dei Korn è composto da qualche buona uscita e da una manciata di lavori dimenticabili.
Tra le prime ci sono sicuramente “Untouchables” (2002) e “Take A Look In The Mirror” (2003) che contengono alcuni pezzi destinati a diventare dei classici come “Here To Stay” e “Did My Time“, ma complessivamente patiscono una band stanca, dopo quasi dieci anni passati sulla cresta dell’onda, tra tour mondiali ed eccessi vari. Proprio l’uscita di TALITM segna l’abbandono di Brian “Head” Welch che rientrerà nei ranghi dieci anni dopo e che nel frattempo non sarà mai sostituito.
“Greatest Hits Vol.1” del 2004 può essere un ottimo bignami per avvicinarsi ai Korn ed è impreziosito da due ottime cover: quella di “Words Up” dei Cameo e quella di “Another Brick In The Wall (Parts 1,2,3)” dei Pink Floyd oltre che da un DVD bonus con sette tracce live registrate presso lo storico CBGB.
Infine, se vuoi una finestra sul presente dei Korn, ti consiglio “The Nothing“, uscito nel 2019; è un lavoro con una produzione molto moderna in cui si fondono al meglio le due anime del gruppo, quella più rabbiosa degli esordi e quella più elettronica dei tempi più recenti, un brano come “Can You Hear Me” ne è l’esempio. Il disco nasce da un grave lutto di Davis e, forse per questo, risulta il più ispirato degli utlimi anni.
Dischi per completisti e appassionati
Se non ti basta quanto sentito fino ad ora, ci sono ancora parecchi lavori dei Korn di cui parlare, il problema è che e difficile parlarne bene.
“See You On The Other Side” (2005) e “Untitled” (2007) mostrano una band praticamente al collasso tra disastri personali e l’abbandono di David Silveira. Il suo sostituto Ray Luzier è tutt’ora il batterista del gruppo.
“Korn III: Remember Who You Are” del 2010 segna un tentativo mal riuscito di tornare al sound dei primi dischi, mentre nel 2011 esce il decimo album in studio dal titolo “The Path Of Totality“, un lavoro controverso per l’abbondate uso di elettronica, che sposta le coordinate verso una sorta di dub metal. Davis è sempre stato appasionato di dubstep, come evidente dai suoi lavori solisti, ma una così forte contaminazione non si era mai vista prima. Il risultato finale non convince del tutto, malgrado la partecipazione di numerosi produttori di genere come Skrillex e Kill The Noise.
“The Paradigm Shift” (2013) e “The Serenity Of Suffering” (2016) segnano il ritorno del figliol prodigo Head: c’e’ un globale miglioramento nell’ispirazione dei brani, ma suonano come dischi fatti con il pilota automatico da una band ormai esperta e rodata, mentre “Requiem” è l’ultimo capitolo, uscito nel 2022, e non aggiunge praticamente nulla alla loro discografia.
Pur essendo un’ottima live band, gli unici due live album ufficiali sono un po’ atipici.
“MTV Unplugged” del 2007 cerca di ripetere il successo del glorioso format degli anni 90, ma il risultato, vuoi perchè la band non è in un gran periodo di forma, vuoi perchè la versione acustica dei brani non convince, non è memorabile malgrado la partecipazione di Robert Smith dei Cure e di Amy Lee degli Evanescence.
“The Path Of Totality Tour: Live At The Hollywood Palladium” (2012) fotografa il tour dell’omonimo album.
Infine, ci sono un paio di raccolte di rarità e brani remixati che non spiccano per il materiale contenuto: “Live & Rare” del 2006 che, oltre a riprendere i brani del DVD di “Greatest Hits Vol.1”, aggiunge una manciata di cover dimenticabili tra cui quella di “One” dei Metallica e “Chopped, Screwed, Live & Unglued“, sempre del 2006, che contiene brani remixati dell’album “See You On The Other Side” e alcune canzoni live registrate nel tour del 2006.