Frontier Records, 10 dischi fondamentali (1980 – 1984)
L’improvvisa morte di Steve Soto, bassista degli Adolescents e il concerto che la storica band di Orange County (a questo punto senza uno dei suoi membri fondatori) terrà alla Buridda di Genova il prossimo primo agosto mi hanno fatto pensare a quanto sia stata fondamentale e pionieristica un’etichetta discografica come la Frontier Records.
La label di Sun Valley (Los Angeles), fondata nel 1980 da Lisa Fancher, dipendente di Bomp! (un’altra storia che meriterebbe di essere raccontata) ha pubblicato gli esordi discografici di alcuni dei gruppi più importanti dell’hardcore californiano degli anni ottanta: dischi seminali – è proprio il caso di dirlo – che hanno tracciato i contorni di un genere ormai passato alla storia. Ma oltre a tenere a battesimo i primi gruppi hc della costa Sud della California, la Frontier si è anche prodigata a spargere il verbo dei Paisley Underground, mettendo sotto contratto alcune band fondamentali di questo sottogenere esploso poco più di tre decadi fa. Una storia molto intensa che ha attraversato tutti gli anni ottanta ed è arrivata, con alterne fortune, fino a oggi. In quest’ultimo periodo però, a parte qualche nuova uscita molto interessante, la Frontier si è dedicata soprattutto a ristampare alcuni dischi perduti del primo punk americano, (Middle Class, Redd Korss) grazie a un lavoro di recupero molto prezioso per le nuove generazioni (un po’ come aveva fatto la Epitaph a metà novanta con le ristampe in cd dei primi dischi della stessa Frontier). Bando alle ciance: diamo un’occhiata ai 10 migliori dischi usciti con il logo del filo spinato che caratterizza l’etichetta di Sun Valley.
Circle Jerks – Group Sex (1980)
Partiamo dal primo lp uscito sotto il marchio Frontier: “Group Sex” dei Cirle Jerks, un disco che, da solo, basterebbe a riservare un posto nella storia alla piccola casa discografica indipendente californiana. Siamo nel 1980 e il giovane Keith Morris, voce dei Black Flag, è stato appena cacciato dal gruppo. Senza perdersi d’animo il nostro recupera alcune canzoni della vecchia band che non erano ancora state registrate, arruola altri tre giovani debosciati e fonda un nuovo gruppo (tra di loro c’è anche il futuro Bad Religion Greg Hetson). Si tratta di un quartetto stellare e violentissimo, che, a parere di chi scrive, è persino meglio dei Black Flag. I pezzi che compongono “Group Sex” sono veloci ed esplosivi: 14 canzoni in poco più di 15 minuti che condensano alla perfezione la ruvidità del punk e i primi vagiti hardcore, grazie a brani veloci e fulminanti, che non danno tregua. Qualcuno lo chiama beach punk: la verità è che all’epoca nessuno badava a certe etichette. L’importante era suonare a mille all’ora e devastare tutto. E i Circle Jerks erano dei campioni indiscussi nel farlo.
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Adolescents – Adolescents (1981)
Gli Adolescents sono forse la band simbolo dell’hardcore californiano degli anni ottanta. Vengono da Fullerton, Orange County, periferia ricca e borghese della California del Sud. Grazie alla loro formula musicale unica che fonde punk, surf, primo hardcore e un certa vena dark hanno fatto letteralmente scuola. Il gruppo nasce nel 1980 dall’incontro del cantante Tony Cadena e il bassista Steve Soto a un concerto degli Agent Orange, band in cui militava lo stesso Steve. I due si capiscono al volo: Soto molla il gruppo – con cui litiga in continuazione – Tony gli presenta Frank Agnew e i tre cominciano a mettere su un progetto tutto loro. Dopo qualche tentativo andato a vuoto, al trio si aggiungono due pezzi da novanta come il fratello di Frank, Rikk Agnew (tenetelo bene a mente) e il batterista Casey Royer, che portano in dote canzoni immortali come “Amoeba” e “Kids of the black hole”. Il passaggio su vinile è quasi automatico e il “disco blu”, come viene chiamato comunemente il loro esordio omonimo, diventa immediatamente una pietra miliare del punk, con i suoi ritmi serratissimi, le canzoni urlate, ma anche le melodie pop, che intrecciano le chitarre distorte. Gli Adolescents, nonostante una scarsa stabilità e tanti cambi di line-up, incideranno altri dischi dopo questo debutto, ma nessuno sarà mai così bello e fondamentale.
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T.S.O.L. – Dance With Me (1981)
Il 1981 non è solo l’anno di uscita del primo disco degli Adolescents, ma anche del debutto a 33 giri dei True Sounds Of Liberty, i T.S.O.L. di Jack Grisham, teppistello di Huntington Beach, che fonda la band nel 1978. “Dance with me” è un disco oscuro di hardcore claustrofobico a tinte dark. Ma, come molti album di quel periodo, mantiene un retrogusto melodico unico. “Code blue”, “Die for me” e l’epica “Dance with me” sono canzoni che raccontano storie malate e spettrali, con la voce di Jack a soffocare ogni timido sprazzo di speranza. I testi sono visionari e provocatori e la musica aggressiva e muscolare: la sintesi della personalità di Grisham. I T.SO.L., con il loro hardcore a tinte dark, hanno influenzato molte band californiane della decade successiva (una su tutte gli Offspring), raccogliendo molto meno rispetto a quanto avevano seminato. Dopo questo capolavoro il gruppo non è mai più riuscito a ripetersi agli stessi livelli e ha alternato qualche buona intuizione ad alcuni passi falsi. “Dance with me” resta un vero e proprio punto di riferimento per chi ama la musica oscura e furiosa.
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Suicidal Tendencies – Suicidal Tendencies (1983)
Quando esce il primo disco omonimo dei Suicidal Tendencies (1983) sotto il marchio Frontier, la band si è da poco aggiudicata i titoli di peggiori stronzi e peggior gruppo nell’annuale referendum della fanzine Flipside. D’altra parte Mike Muir e la sua cricca non sono certo le persone più amate delle scena punk-hc di Los Angeles: vanno in giro come una gang di violenti rompicoglioni e passano le giornate sullo skate o a menare la gente. Insomma, non sono proprio dei filantropi. Ma quando esce il loro disco omonimo, anche i loro più acerrimi detrattori devono ammettere che si tratta di un piccolo capolavoro. I Suicidal Tendencies non sono solo l’anello di congiunzione fra hardcore e thrash metal, ma anche dei veri e propri pionieri del crossover (oltreché delle future star) che in questo esordio a marchio Frontier mantengono ancora (e per fortuna) suoni rozzi, testi violenti e davvero poca tecnica. Ciò che fa la differenza sono le canzoni. La furia di “Fascist pig” (che dimostra come, al di là di tutto, certi valori non fossero minimamente messi in discussione), le melodie malate e demenziali di “I saw your mommy…” e il new-metal ante litteram di “Istituzionalized” (che guarda al nascente rap) sono tutti inni immortali, che nessun amante dell’hardcore può ignorare.
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Rikk Agnew – All By Myself (1982)
Se esiste un eroe del punk-hc californiano quello è senza ombra di dubbio Rikk Agnew, un nome che in questo articolo sulla Frontier è già apparso e apparirà altre volte. A cavallo tra il 1980 e il 1985 (ma secondo me anche in seguito) tutti i dischi, i gruppi e i progetti che lo hanno visto coinvolto si sono rivelati sin da subito di qualità poco meno che eccelsa. E lo stesso vale per questo lp – inserito nella ristampa in cd del primo album degli Adolescents – in cui Rikk scrive, canta e suona tutti i pezzi. “All by myself” è un album splendido: oscuro, ma al tempo stesso pop, ruvido e delizioso, come solo un certo tipo di beach punk riesce a essere. Un disco disperato e inquietante che avrebbe meritato ben altra fortuna (mentre, purtroppo, sono ancora in pochi a ricordarsene). Eppure è davvero impossibile ignorare canzoni come “O.C. Life”, “10”, “You’re too late” e “Section 8”. Ma come si dice in certi casi – e non è mai stato più vero – risulta davvero difficile scegliere un brano rispetto a un altro. Un disco monumentale.
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Flyboys – Flyboys (1980)
Quando ho scritto che “Group sex” dei Cricle Jerks è il primo disco pubblicato dalla Frontier, in realtà, ho detto una mezza cazzata. Nel senso che il primo vero vinile ad avere il marchio dell’etichetta di Sun Valley è questo ep del 1980 dei Flyboys, una rock band nata a metà degli anni settanta e riconvertitasi al punk melodico nel giro di pochi anni. Dopo un primo album power-pop nel 1977, tre anni dopo, nel 1980, il quartetto di Arcadia firma per la neonata Frontier e sforna questo pezzettino di vinile con sette brani di rock’n’roll vibrante, al limite del beach punk (i coretti epici sono un marchio di fabbrica del genere). La melodia la fa da padrona, ma non mancano le chitarre taglienti e dal tipico marchio surf. L’ultimo pezzo strumentale, “Theme song”, una fulminante cavalcata punk, è stato coverizzato in seguito dai JFA.
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China White – Dangerzone (1981)
I China White, che prendono il nome dallo stesso tipo di eroina che ha ucciso Derby Crash, si formano nel 1979 e incidono il loro primo e unico ep (prima della reunion di metà anni novanta) con la Frontier nel 1981.Vengono da Huntington Beach e suonano un punk metallico o proto-hardcore stonato e caciarone. I sei pezzi di questo misconosciuto ep non contengono melodie memorabili, ma sono talmente urgenti e scorretti da meritare di finire in questa lista. I fratelli Frank e Joey Rufino, Marc Martin e James Rodriquez (la line-up classica del gruppo) non resteranno forse nella storia del punk, ma grazie a questo pezzetto di vinile aggiungono un altro tassello importante alla saga dell’hc californiano. La chitarra contorta e la voce cantilenante su “Daddy’s little queen” e la title track “Dangerzone” sono due classici minori del genere. Come del resto la copertina dell’ep: la scena di un omicidio, con tanto di cadavere coperto da un telo bianco. Un modo piuttosto macabro per farsi odiare. Nella ristampa in cd “Dangerzone” si trova insieme all’ep omonimo dei Flyboys: due dischi storici in una confezione unica.
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Christian Death – Only Theatre Of Pain (1982)
Riecco Rikk Agnew ed eccoci nuovamente di fronte a un album pazzesco. Questa volta l’ex chitarrista degli Adolescents si trova alla corte dei Christian Death, band oscura e di culto, che influenzerà molto il movimento dark californiano. Agnew e il cantante Rozz Williams (morto suicida nel 1998) sono i due pilastri attorno ai quali ruota la band. “Only theatre of pain” (1982) è un debutto incredibile, carico di angoscia e disperazione. Il basso prepotente – alla Joy Division – di James McGearty è l’architrave di un suono cupo e claustrofobico, ma anche molto originale. La chitarra di Rikk non è mai stata così varia e ipnotica, mentre la voce di Rozz sembra quella di un serpente pronto a divorarti. I pezzi sono più lunghi della media hardcore e la musica sembra la colonna sonora perfetta per un film di vampiri eroinomani. Dischi così inquietanti e al tempo stesso trascinanti sono perle rare.
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The Long Ryders – Native Sons (1984)
Come detto poco sopra la Frontier non ha tenuto solo a battesimo alcuni dei più importanti gruppi hc californiani, ma ha anche anche sostenuto con forza il movimento Paisely Underground, pubblicando alcune band cardine di questo genere che rileggeva il rock psichedelico dei Byrds attraverso la lezione del punk. Il debutto dell’84 dei Long Ryders (con la Y) – anche se il nome è chiaramente ispirato al film western dell’80 – è uno degli album più interessanti di quella particolarissima scena. “Native sons”, mescola la tradizione lisergica californiana, con l’attitudine rock’n’roll e senza compromessi dei gruppi sotterranei della Los Angeles dei primi anni ottanta. Ballate desertiche e malinconiche si alternano a mid-tempo irresistibili, il rock della radici americano si sporca con la nuova onda o il power-pop.
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The Salvation Army (aka Befour Three O’Clock) – The Salvation Army (1982)
Strana storia quella dei Salvation Army, costretti a cambiare il nome per una disputa legale in Three O’Clock. Considerati alfieri del Paisely Undeground (anzi, si dice che siano stati proprio loro a coniare il termine), in questo loro primo album targato Frontier e uscito nell’82 suonano un mix di garage e power-pop, tanto da somigliare – seppur alla lontana – ai primi Green Day. Voce in primo piano e chitarre sferraglianti in sottofondo sono il menù tipico di questo misconosciuto gruppo californiano. Il suono fresco e l’estrema disinvoltura dei brani contenuti in questo esordio ne fanno dei pionieri del punk californiano anni novanta. Anche se fra una traccia e l’altra i nostri infilano momenti di psichedelia e follia pura come in “Grimly forming”. Davvero un album notevole e da recuperare, nel caso non lo conosceste.
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- Diego Curcio