I 20 migliori dischi PUNK del 2017
Abbiamo chiesto di compilare la classifica del meglio del punk uscito nel 2017 ad un caro amico: Diego Curcio. Giornalista (non solo) musicale, autore di due libri (“Rumore di Carta – Storia delle Fanzine Punk e Hardcore Italiane 1977 – 2007” e “Figli del Demonio – Biografia dei Dirty Actions“), curatore del programma radio “Hello Bastards“, presenzialista nelle serate live genovesi e grande spulciatore di negozi di dischi sempre alla ricerca di qualche album punk a poco prezzo! Per lui vale ancora il motto “non pagare più di 1000 Lire!”. Il risultato è una lista di 20 dischi fra grandi classici ristampati, glorie underground locali, nuovi eroi internazionali, tre accordi e tanta melodia sbilenca!!!
Tomorrow Hit Today mi ha chiesto di buttare giù una classifica dei migliori 20 album punk-hardcore-garage usciti nel 2017. E visto che si tratta di una lista molto personale immagino che chiunque la legga possa trovare più di un motivo per non essere d’accordo con le mie scelte. D’altra parte è quasi impossibile tenere sotto controllo e ascoltare, con un minimo di coscienza, tutto ciò che esce di questi tempi. E anche se con Internet e lo streaming sembra molto più semplice restare aggiornati, non credo neppure sia il caso di mettersi a scartabellare tutto ciò che porta il marchio del “punk-hc” soltanto per essere sicuri di non lasciare fuori nessuno. Questa maledetta bulimia mi inorridisce. E lo dice uno che si venderebbe anche le mutande per comprare un disco nuovo. Tornando alla classifica, quindi, tra questi 20 album potreste non trovare parecchi dischi interessanti per il semplice fatto che materialmente non ho avuto la possibilità di ascoltarli. Ma sappiate anche che ci sono alcune esclusioni “eccellenti” e meditate che sono frutto del mio gusto personale e che rivendico con orgoglio. Parlo del disco dei Lillingtons (gruppo che adoro, ma che, a mio parere, ha pubblicato un album inutile), quello dei Propagandhi (da 15 anni mi hanno rotto le palle anche se amo alla follia i loro primi tre dischi) e un sacco di roba Fat che mi pare lontana anni luce, per qualità e necessità, dalle uscite di qualche tempo fa. Ma bando alle ciance ecco la classifica di questo 2017 (alcune cose sono riprese dal mio blog, ma la lista è aggiornata e soprattutto ampliata, anche con un po’ di ristampe).
01) Husker Du – Savage Young Du (Numero Group)
Il disco dell’anno è degli Husker Du, la mia band preferita che non pubblica un nuovo album dal 1987. E non lo dico perché quest’anno ci abbia lasciato un mito assoluto come Grant Hart (il dolore è ancora immenso): il fatto è che questo strepitoso cofanetto in edizione limitata uscito per la Numero Group è un lavoro stupendo che vale tutti i maledetti soldi che costa. Tre cd (o quattro vinili) e un libro ricco di foto e storie degli Husker Du che ripercorrono la prima bruciante fase della carriera dei nostri: quella pre-SST tanto per intenderci. Ma cosa c’è dentro questi dischi, frutto di una difficile ricerca e di una selezione certosina lunga almeno un decennio? Ci sono demo, live e versioni alternative, certo, ma anche inediti da far venire la pelle d’oca. Anzi c’è quasi un intero cd di canzoni mai pubblicate che sono semplicemente stupende, che arrivano direttamente dal primo furiosissimo periodo degli Huksers e che – sorpresa – sono molto più melodiche e punk di quello che ci si potrebbe aspettare. Pezzi tra il power-pop e il post-punk, che rivelano come Mould, Hart e Norton sapessero già dove sarebbero approdati di lì a poco. Brani strepitosi e incredibili che vi faranno commuovere ed eccitare. Certo, anche il resto del cofanetto non è niente male, ma il primo cd con gli inediti è qualcosa di assolutamente sensazionale.
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02) Mr. T Experience – King Dork Approximately (Sounds Rad)
Aspettavo questo disco da anni, ma che dico anni: decenni e settimane. A parte tutto, quando ho saputo che Dr. Frank avrebbe resuscitato i MTX e dato alle stampe un nuovo lp dopo quasi 3 lustri me la sono fatta letteralmente sotto dalla paura. Il precedente “Yesterday rules”, diciamoci la verità, è una mezza ciofeca e chi ce l’ha come me lo tiene per mero completismo e affetto. Questo “King Dork ecc”, invece, è un gran disco. Davvero. Ci sono ottime melodie, pezzi un po’ più tirati e altri molli ma ben scritti e si sente il guizzo del vecchio Frank, che tanto ci aveva fatto innamorare 20 anni fa. Power-pop e punk-rock, naturalmente, restano le coordinate principali. Ma c’è anche un po’ di pop-rock alla vecchia maniera. Un ritorno coi fiocchi.
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03) Capitalist Kids – Brand damage (Brassneck Records)
I Capitalisti Kids del mio amico Jeff hanno pubblicato indubbiamente il loro album migliore di sempre. Anche qui, come per i MTX, si battono i territori del pop-punk e del power-pop, con una predilezione più per Elvis Costello che per i Ramones. Jeff sa scrivere canzoni veloci e super melodiche, alternando testi impegnati che parlano della situazione socio-politica americana a brani d’amore. Il disco perfetto dell’era Trump.
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04) Downtown Boys – Cost of living (Sub Pop)
Tra i miei gruppi hardcore preferiti in assoluto ci sono i Downtown Boys: una band devastante dal vivo (li ho visti un anno e mezzo fa a Imperia e devo ancora riprendermi). Uno dei loro pregi più grandi è l’essere riusciti a trovare un suono così originale ma al tempo stesso familiare che ha davvero pochi eguali fra i gruppi contemporanei. Testi in inglese e spagnolo, che parlano di cosa sia oggi l’America e di come sia ancora attuale lottare per i propri diritti, tentando di cambiare il mondo. Nessuna velleità, solo sincerità, attitudine e urgenza. “Cost of living” è un filo meno dirompente del suo predecessore “Full Communism”, ma resta un disco in cui punk e hardcore trovano un originalissimo modo per stare insieme.
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05) Dalton – Deimalati (Hellnation)
Anche in questo caso parliamo di un secondo album che arriva dopo un esordio capolavoro, il fantastico “Come stai?” e quindi, per forza di cose, “Dei malati” resta un gradino sotto quella meraviglia. Detto questo siamo comunque di fronte a un album stupendo, da imparare letteralmente a memoria. Questa splendida formula a base di oi!, pub-rock, punk, folk e cantautorato spinto rende i Dalton una band unica ed eccitante. L’inizio è fulminante, tanto che “Gaia” sembra una b-side di “Come stai?”. E poi c’è un altro inno come “La dose fa il veleno” e un gran pezzo dal super riff come “Estate”. Non mancano neppure qui le cover che non t’aspetti, da Tenco ai più “allineati” Pogues. Pochi brani, solo sette purtroppo, ma tutti da sentire 100 volte al giorno, senza stancarsi.
06) Crimpshrine – The sound of a new world being born (Numero Group)
Quando dico che la Numero Group è una label coi fiocchi non scherzo. Perché quest’anno, oltre a pubblicare, l’insuperabile cofanetto degli Husker Du di cui parlo qualche riga sopra, ha ristampato anche due dischi capitali della scena punk californiana (ma a questo punto direi mondiale, eccheccazzo!) degli anni ottanta: le due raccolte con la discografia pressoché completa dei Crimpshrine “The sound of a new world being born” e “Duct tape sound” uscite originariamente su Lookout e al momento introvabili a cifre umane. E se in questa sede cito solo il primo dei due album, sappiate che entrambi sono delle vere bombe. I Crimpshrine erano una band culto del giro Gilman Street, fondata nei primi ottanta da Jeff Ott, che poi metterà in piedi gli altrettanto fantastici Fifteen. Una fusione eccellente di pop-punk e hardcore che ha fatto scuola nel giro Berkeley-San Francisco (pensate a Jawbreaker, J Church, Operation Ivy, Monsula e Pinhead Gunpowder). La band era composta da attivisti politici, giovani homeless e squatter che suonavano un punk abrasivo, veloce e sincero. Un disco stupendo e grezzissimo, che va assolutamente recuperato.
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07) She Said What?! – Demichelis (Marsiglia)
Eccolo qui il mio duo proferito. Anna e Manuela (anche se a volte dal vivo la sostituisce Bernardo) sono due tipe toste delle mie parti, che suonano una sorta di punk lo-fi acido ma al tempo stesso melodico, che mi fa letteralmente uscire di testa. Dopo qualche anno di stop, hanno ripreso a suonare da circa 12 mesi e hanno appena sfornato un disco (per ora solo su cassetta, presto anche su vinile) che è una delle robe più belle che abbia ascoltato in questi anni. L’album è una specie di concept (non pretenzioso) sulla prima repubblica e contiene pezzi come “Demichelis”, “Sigonella”, “Craxi”, “Fanfani” e “Love party” (ok li ho detti tutti). Il tutto suonato alla velocità della luce, come della Bikini Kill ridotte all’osso (batteria, basso distorto e due voci che si rincorrono in un botta e risposta strepitoso) alle prese con le cover dei Dead Kennedys. Un groviglio di ironia, minimalismo punk e melodie malate e stridule. Uno sballo.
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08) Leisfa – Liturgie di fallimenti e sconfitte
Anche i Leisfa, come le She Said What?! e più avanti Goonies e Injection sono genovesi. E anche loro, come tutti gli altri, sono miei amici. Vi sembro campanilista? Ma non diciamo cazzate: questo è soltanto culo, misto a un pizzico d’intelligenza nello scegliere le persone con cui passare il proprio tempo libero. Luca e i suoi fantastici amici (questo il nome per esteso della band) si sono guadagnati i galloni sul campo e con questo terzo disco (se si conta come secondo il loro split con gli Essere) raggiungono la piena maturità. I Leisfa sono una band hardcore granitica, composta da ragazzi sui 25 anni (quindi giovani, dai), che è riuscita a trovare un sound personale, nonostante il genere. In questo “Liturgie di fallimenti e sconfitte” i ritmi sono leggermente più lenti rispetto ai primi album, ma ci sono comunque muri di chitarre in tempesta, canzoni furiose e testi introspettivi e carichi di pathos. Gippy ha una voce perfetta, tagliente, sporca e capace di raggiungere vette di cattiveria inaudita. Uno dei migliori gruppi hardcore italiani degli ultimi dieci anni (consigliatissimi anche dal vivo).
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09) AA/VV – 391 | Vol.5 Liguria – Voyage Through The Deep 80s Underground In Italy (Spittle)
Se a New York c’erano Max’s e CBGB’s a Genova, nel nostro piccolo, avevamo lo Psycho di vico Carmagnola, un locale incastrato nel cuore del centro storico, da cui è passata praticamente tutta la scena alternativa cittadini degli anni ottanta. Una messe di gruppi genovesi e liguri che partendo dal punk sono riusciti a sviluppare suoni particolarissimi e davvero all’avanguardia per il periodo. Dirty Actions, Scortilla, Metalbody, Alan Lads, V5L sono solo alcuni dei nomi più eccitanti raccolti in questa compilation fondamentale della Spittle che, per la prima volta, riesce a dare voce a una scena molto viva e particolare, di cui purtroppo sono rimaste pochissime testimonianze sonore. In questi due cd post-punk, noise, punk-rock, new wave e musica sperimentale – anche piuttosto spinta – si mescolano alla perfezione. Il primo cd è forse quello più “rock”, anche se liquido e ricco di esperimenti; il secondo disco invece raccoglie le esperienze liguri più artistiche e votate all’elettronica. Come accaduto per gli altri volumi della serie (tutti incentrati su una regione italiana specifica), questa raccolta della Spittle non è solo un documento storico preziosissimo, ma anche una selezione di brani di grande qualità.
10) Rancid – Trouble Maker (Epitaph)
Non siamo certo di fronte al miglior disco dei Rancid, ma bisogna anche ammettere che Tim, Lars e co. difficilmente se ne escono fuori con degli album totalmente da dimenticare (com’è accaduto ultimamente ai Green Day e come succede da almeno 15 anni agli Offspring, solo per citare la triade del punk da “classifica” anni novanta). Come al solito una delle pecche maggiori dei Rancid è l’abbondanza. Perché se invece dei soliti 17-19 pezzi (dipende dall’edizione che avete del disco) ne avessero pubblicati una dozzina saremmo di fronte a un album di tutt’altra caratura. Ma comunque i pezzi fighi non mancano (il terzetto iniziale è da sturbo) ed è sempre un piacere immenso sentire un nuovo disco di questi ragazzacci con i quali, molti di noi, sono cresciuti e invecchiati.
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11) CCM – The furious era 1979-1987 (Area Pirata)
Finalmente qualcuno (Area Pirata, e chi sennò?) è riuscito a ristampare i dischi dei Cheetah Chrome Motherfuckers, storica e devastante band hc toscana degli 80’s. A una dozzina d’anni dall’inizio del revival hardcore italiano anni ottanta questi mostri sacri del genere possono godere di una ristampa sontuosa ed eccellente (doppio vinile o doppio cd) che farà la gioia di tutti coloro che non erano neppure nati quando Dome e Syd infiammavano i palchi di mezzo mondo. Nei solchi di questo disco esagerato trovate tutta la discografia dei CCM, dai primi violentissimi singoli all’unico e bellissimo album “Into the void”. Una fetta di storia dell’hardcore italiano assolutamente imprescindibile, che ridurrà a brandelli le casse del vostro stereo.
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12) Capt Crunch and the Bunch – Crimine beat (Area Pirata)
Ancora Area Pirata (una delle mie case discografiche indipendenti italiane preferite) e in un certo senso ancora CCM., visto in questo esordio da sballo di Capt Crunch and the Bunch suona anche il mitico Vipera, storico batterista dei Cheetah Chrome Motherfuckers. Questa nuova band però non ha nulla a che fare con l’hc dei bei tempi andati, ma è uno splendido ibrido di garage, beat, surf, pub-rock e rock’n’roll come raramente ho avuto la fortuna di ascoltare. Così di primo acchito i Capt Crunch mi ricordano i compianti Smart Cops, anche se sono meno monolitici e più vari. Il disco è diviso equamente in due parti: il lato A in italiano è orientato al beat anni Sessanta, mentre il lato B in inglese suona molto più garage e ai limiti della psichedelia. Una scelta insolita e rischiosissima, visto che quando si alternano italiano e inglese in un disco solo la cagata è dietro l’angolo. E invece “Crimine beat” è un album coi fiocchi e davvero unico nel suo genere.
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13) Human Race – Negative (Dead Beat)
Aspettavo questo disco da mesi. E più precisamente da quando ho ascoltato i primi due micidiali singoli – “Human race” e “I dont’ mind” – di questa band romana (l’ennesima rivelazione in arrivo dalla Capitale). Gli Human Race suonano con una naturalezza disarmante, come i gruppi punk inglesi e americani del ’77, soprattutto quelli sfigati e di serie B, che spesso sfuggono ai classici elenchi degli imprescindibili. Pensate a una miscela di Boys, Buzzcocks, Germs, Weirdos, Generation X ed Eater e ci sarete quasi vicini. Insomma, roba da leccarsi le dita dei piedi. Forse l’impatto di questo bel vinilone pubblicato dalla benemerita Dead Beat di Cleveland è un pizzico meno dirompente rispetto ai primi due singoli di cui ho parlato all’inizio (nell’album comunque c’è la splendida “I don’t mind”) però “Negative” resta un disco prezioso e vibrante, genuino e talmente sincero che vi farà godere come dei ricci.
14) Patsy – LA women MLP (La Vida Es Un Mus Discos)
In questi ultimi giorni dell’anno, mentre stavo girovagando su Internet come un babbeo, mi sono imbattuto, un po’ per caso, nel mini album delle Patsy, “LA women MLP”: poco meno di 15 minuti di garage suonato a mille all’ora e con scarsa perizia tecnica. Una gioia assoluta per le orecchie, ve lo assicuro. La voce cantilenante e lamentosa di Candice Metraile si impasta alla perfezione dentro un groviglio di chitarre rumorose; il suono è sferragliante più che mai, con tempi che che accelerano all’improvviso e rallentano altrettanto bruscamente: Un robusto rock’n’roll delinquenziale, irritante e dolcissimo. Copertina spettacolo.
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15) Dadar – Dadar
È difficile che mi venga in mente di mettere in una classifica dei migliori album dell’anno un ep o un singolo (perché altrimenti sarebbe la classifica dei migliori ep e singoli dell’anno). Ma è ancora più difficile che lo faccia con robe che – almeno a quanto ne so – non siano state neppure stampate su un supporto fisico e si possano ascoltare solo in streaming. Per i Dadar però farò senz’altro un’eccezione. I tre pezzi del disco omonimo (che trovate su bandcamp) sono micidiali come poche altre cose ascoltate quest’anno. Il gruppo è una sorta di side-project di Lorenzo “Piff” degli Shitty Life che qui fa tutto da solo: suona, canta e monta su un casino incredibile. Un garage-punk a tutta birra, pieno di tastieroni e melodie pop, consumato in soli 6 minuti. Non è niente male neppure il seguito, “Sick of pasta”, questa volta stampato in 7” e leggermente più tirato (4 pezzi in 5 minuti più vicini alle cose fatte con gli Shitty Life). Dovendo però scegliere fra i due dischi opto senza indugi sull’esordio: un “album” urgente – come si diceva un tempo – e irresistibile.
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16) Strypes – Spitting Image (Universal)
Forse il terzo disco degli Strypes c’entra poco con il punk ed è semplicemente un bellissimo disco pop. Ma è innegabile che i suoni di quest’album si rifacciano spudoratamente a quella scena power-pop o speed-pop di fine settanta che col punk ebbe molte cose in comune, prima fra tutte il recupero delle radici rock’n’roll che il prog aveva smarrito. E poi non era certo un caso se gente come Nick Lowe, Elvis Costello e Joe Jackson, all’inizio della loro carriera, veniva accostata a Sex Pistols, Clash e Damned, tanto da dividere i primi tour con alcuni di loro. Tornando agli Strypes questi giovanissimi irlandesi più che dei musicisti sembrano degli studiosi di musica, capaci, in ogni disco, di reinventarsi completamente, suonando con perfezione filologica e indubbio talento come i loro gruppi preferiti del passato. Dopo un bel esordio molto rock’n’roll che guardava a MC5, Rolling Stones e Dr. Feelgood e un pessimo passo falso con un secondo album piuttosto piatto, questi giovinastri sono tornati nel 2017 con uno strepitoso omaggio al power-pop inglese di cui parlavo poco fa. Forse un disco calligrafico e, come dicevo prima, filologico fino al parossismo (la copertina vi dice qualcosa?), ma anche una raccolta di canzoni eccellenti. Come si fa a resistere alle melodie incredibili di “Great expectations” e “Behing closed doors”?
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17) Smudjas – What we have is today (Adagio830 / Legno)
Anche in questo caso il punk c’entra e non c’entra, perché se volessimo trovare una rapida definizione alle Smudjas di Milano quella più calzante potrebbe essere “grunge”. La band formata da Pamela, Ivana e Davide mi ricorda dei Dinosaur Jr in salsa shoegaze con voce femminile malinconica, rauca e scazzata al punto giusto. Sette pezzi di rock nebuloso e chitarristico, con muri di suoni spessi come nuvole di fumo e ritmi vorticosi. Ho avuto la fortuna di vedere la band dal vivo qualche giorno fa a Utopia nel corso di una serata magica piena di buona musica e birrette. Le Smudjas mi hanno subito conquistato con la loro attitudine. E la cosa più saggia che abbia fatto quel giorno è stata comprare il loro cd a 6 euro.
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18) Goonies – Connessi e soli
I Goonies sono una delle mie band preferite. E non lo dico perché siamo amici da una vita; il fatto è che questa banda di ragazzi – per citare un loro vecchio pezzo – sa come farmi felice in poche e semplice mosse: suoni veloci e melodici come le pop-punk band di 25 anni fa, pezzi che ti si incollano al cervello e un’attitudine incredibile. “Connessi e soli”, che arriva parecchi anni dopo quel mezzo capolavoro che era “Suoniamo ancora anni novanta” non tradisce le aspettative. Certo, l’80 per cento dei sei pezzi di questo mini album faceva già parte del repertorio live del gruppo (e quindi appena ho messo su il cd ho iniziato a cantare le canzoni a memoria), ma a parte le mie digressioni da fan (li avrò visti 1457893 volte dal vivo) credo sia impossibile, per chiunque ascolti punk-rock, non amare quest’album e non adorarne la sua sincerità. E’ raro che senta per più di 3 o 4 giorni di fila lo stesso disco, avendo sempre nuovo e vecchio materiale da ascoltare (il bello e il brutto di Internet). Ma nel caso di “Connessi e soli” è stato davvero difficile togliere quel pezzettino di plastica dallo stereo.
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19) The Minneapolis Uranium Club “Live at Arci Taun” lp (Sottoterra)
A causa della mia proverbiale ignoranza mi sono perso la prima e unica data italiana dei Minneapolis Uranium Club l’anno scorso a Fidenza. Ma grazie ai “colleghi” di Sottoterra ho potuto riparare, almeno in parte, a quest’errore. Perché sotto il marchio della rivista che ho la sventura di dirigere è uscito questo bel vinile nero, in cui è stato immortalato, grazie a una registrazione di ottima qualità, quello storico concerto. Dentro questi solchi c’è tutta la forza dirompente e dissonante dei MUC: un mix fra Devo, garage, punk e kraut da due soldi. Musica rumorosa ridotta all’osso: un viaggio cosmico a bordo di una motoretta scassata.
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20) Injection – One, two, threesome (Flamingo Records)
A parte il titolo geniale e il fatto che conosca questi ragazzi da una vita (ok è il quarto gruppo genovese, ma cosa ci posso fare?), “One, two, threesome” degli Injection, ep pubblicato dalla casa discografica indipendente (nonché negozio) genovese Flamingo Records, è un gioiellino di hardcore melodico in stile californiano, tanto anacronistico quanto divertente. A Inca, Saul, Dani e Fraz importa davvero poco nascondere le proprio influenze musicali (Good Riddence e Strike Anywhere su tutti), quello che gli interessa è suonare pezzi brevi e incazzati, con quel briciolo di melodia che ti conquista subito. Sei canzoni tirate a lucido – la combo iniziale “My last bullets” e “It’s the end of yur life as you know it (and you won’t fell fine) che nel titolo prende per il culo i Rem è una sicurezza di granitica ignoranza – e un artwork spettacolare a cura del sempre grande Alessandro Ripane. Ps La canzone qui sotto non fa parte del disco perché non trovo i pezzi di “One, two,threesome” su youtube.
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